Negli ultimi mesi, o forse sarebbe meglio parlare di anni, gli italiani hanno dovuto fare i conti con un’impennata dei costi legati alle spese quotidiane.
Le bollette di luce e gas hanno registrato aumenti significativi, spesso difficili da sostenere per le famiglie, già provate da un contesto economico instabile. A peggiorare la situazione, l’incremento dei prezzi non si è limitato alle utenze domestiche. Anche i costi di altri beni e servizi essenziali, come i carburanti e le tariffe condominiali, sono saliti, aggiungendo ulteriore pressione sui bilanci familiari.
Tuttavia, uno degli aspetti più critici riguarda il carrello della spesa. I rincari su alimenti di prima necessità, come pane, pasta e latticini, hanno reso la spesa quotidiana un vero salasso. Molte famiglie si trovano costrette a fare sacrifici, riducendo consumi o rinunciando a prodotti non indispensabili. La situazione rischia di aggravarsi, rendendo sempre più insostenibile il costo della vita per una larga parte della popolazione.
La beffa per gli italiani in tutti i supermercati
Negli ultimi anni, una pratica sempre più diffusa sta modificando in modo sottile, ma incisivo, le abitudini di consumo. Si tratta della shrinkflation, un fenomeno che, senza aumentare il prezzo di un prodotto, ne riduce la quantità all’interno della confezione. Sebbene il costo unitario sembri invariato, di fatto il prezzo al chilogrammo o al litro aumenta, impoverendo il consumatore in modo spesso impercettibile.
Con l’aumento dell’inflazione, molte aziende hanno adottato la strategia della shrinkflation per contenere i costi senza apparire direttamente responsabili di un rincaro. Il trucco sta nella diminuzione della quantità di prodotto, spesso accompagnata da un restyling della confezione che maschera abilmente il cambiamento. In questo modo, il consumatore percepisce un’apparente stabilità nei prezzi, ma in realtà paga di più per ottenere meno.
Un esempio classico riguarda la pasta: una confezione da 500 grammi, che prima costava 1 euro, può ora contenerne 400, mantenendo però lo stesso prezzo. Situazioni simili si riscontrano nei prodotti alimentari quotidiani, come le confezioni di tè che passano da 25 a 20 bustine, o le mozzarelle che da 125 grammi si riducono a 100, senza alcuna diminuzione del costo. La dimensione del packaging, spesso immutata, contribuisce ulteriormente a confondere l’acquirente.
Uno degli aspetti più problematici della shrinkflation è la mancanza di trasparenza. Molti consumatori, pur attenti agli aumenti di prezzo, non verificano la quantità effettiva di prodotto riportata sull’etichetta. Questo fenomeno si amplifica nei casi in cui i rivenditori applicano sconti temporanei, che mascherano ulteriormente la diminuzione delle quantità. Di conseguenza, i carrelli della spesa si svuotano sempre più rapidamente, pur a fronte di una spesa invariata.
Le soluzioni normative contro la shrinkflation
Per affrontare la shrinkflation, il DDL Concorrenza ha introdotto alcune misure, disciplinando il cosiddetto “riporzionamento dei prodotti preconfezionati”. La normativa prevede che, in caso di riduzione della quantità, sia obbligatorio indicare sulla confezione un’avvertenza specifica: “Questa confezione contiene una quantità inferiore di X rispetto alla precedente”. Tuttavia, questa dicitura è richiesta solo per sei mesi dall’immissione del nuovo formato sul mercato, un periodo considerato insufficiente da molte associazioni dei consumatori.
Inoltre, la legge presenta lacune evidenti. Basta un lieve cambiamento nel design della confezione per aggirare l’obbligo, eludendo così l’intento di garantire trasparenza. Le associazioni come Federconsumatori hanno sottolineato la necessità di interventi più incisivi per proteggere i consumatori da pratiche commerciali potenzialmente ingannevoli.
Le richieste delle associazioni dei consumatori
In un comunicato ufficiale, Federconsumatori ha elencato alcune proposte per migliorare l’efficacia della normativa e arginare la shrinkflation. Tra le misure suggerite figurano:
- Maggiore visibilità sulla confezione: obbligo per i produttori di evidenziare la quantità di prodotto in modo chiaro, destinando almeno il 15% della grafica frontale del packaging a queste informazioni.
- Inserimento nel Codice del Consumo: classificare la shrinkflation come una pratica commerciale ingannevole, con l’introduzione di sanzioni severe per le aziende che violano le regole.
- Monitoraggio sistematico: istituzione di un sistema di vigilanza per analizzare l’impatto del fenomeno sulla spesa delle famiglie e verificare il rispetto delle normative vigenti.
Questi interventi mirano sicuramente a ridurre il margine di discrezionalità delle aziende e a rafforzare la consapevolezza del consumatore. Ma siamo sicuri che la situazione possa migliorare (solo) con questi accorgimenti? Cosa bisogna aspettarsi, dunque, nei prossimi mesi?