Come calcolare la pensione futura, ecco quali elementi e dati occorre tenere in considerazione per farsi un’idea
Tutti i lavoratori a un certo punto della loro carriera e attività professionale, dipendenti o autonomi che siano, si chiedono a quanto ammonterà il loro assegno pensionistico futuro. Non si tratta di semplice curiosità ma di un’informazione, per quanto di massima e sottoposta a diverse variabili in cambiamento, necessaria per predisporre i propri investimenti previdenziali. Naturalmente su questi calcoli influiscono ancora fattori che vanno al di là delle retribuzioni percepite, della lunghezza della vita lavorativa e così via.
Ci sono condizioni esterne come l’andamento del PIL, l’impianto normativo, l’andamento dell’inflazione, le aspettative complessive di vita della popolazione che possono influire in maniera determinante. Senza considerare che ogni lavoratore ha una storia a sé con variabili e condizioni che determinano il risultato finale. Basta pensare alla diversità tra lavoratori dipendenti e autonomi, tra contratti nel pubblico impego e nel privato. Comunque avere almeno un’idea di massima è importante per la scelta di una previdenza complementare, in considerazione delle risorse sempre più scarse del sistema pubblico.
Innanzi tutto va sottolineato che il sistema attuale, il contributivo puro, introdotto nel 1996 dalla riforma Dini e ribadito con le modifiche Fornero del 2011 è svantaggioso per i lavoratori rispetto al calcolo retribuito e a quello misto. Quindi soprattutto per accedere alla pensione con il contributivo puro le condizioni sono peggiori rispetto al passato e il futuro non appare roseo.
In particolare, chi non ha una carriera lavorativa continua e con retribuzione adeguata si troverà con un assegno pensionistico irrisorio. Il rapporto tra ultimo stipendio percepito e primo assegno pensionistico è denominato tasso di sostituzione ed è essenziale per capire quale sarà il proprio potere d’acquisto alla fine del lavoro. Questo parametro con le riforme Dini e Fornero si è abbassato enormemente negli ultimi anni, scendendo al 60 per cento con 40 anni di contributi e addirittura al 48 per cento con 30 anni di contributi.
Altro elemento importantissimo è il montante contributivo, cioè la somma di quanto si riesce a versare di contributi durante la carriera lavorativa. Va considerato poi il coefficiente di trasformazione connesso all’età con cui si va in pensione. Questo dato viene aggiornato periodicamente e cambia in virtù dell’età del lavoratore e della decorrenza della pensione. Quindi sono determinanti anni complessivi di contribuzione, età del lavoratore in procinto di lasciare l’impiego e ammontare dell’accantonamento.
Il calcolo della pensione deve tenere conto delle imposte, delle detrazioni spettanti e in genere dell’impianto fiscale complessivo e naturalmente delle leggi che regolano tutto il sistema previdenziale. Alla pensione lorda va sottratta l’Irpef dovuta più le addizionali e poi la detrazione Irpef spettante. Insomma il calcolo è tutt’altro che semplice e richiede molta attenzione a tutte le variabili.
È sufficiente considerare che per calcolare l’anzianità contributiva si devono sommare tutte le settimane lavorate e dividere per 52 il numero delle settimane totali, ma questo è solo un’indicazione di massima occorrono calcoli più dettagliati che tengano conto della retribuzione. Un modo per avere idea della propria pensione è utilizzare l’estratto conto contributivo presente sulle pagine riservate di ogni cittadino sul sito Inps.
Al suo interno si trovano numerose informazioni importanti, ma l’altro strumento da sfruttare è il simulatore messo a disposizione dall’Inps per calcolare la pensione futura sulla base dei dati inseriti (pur senza valore certificativo) e il periodo in cui si potrà richiedere la prestazione pensionistica.