Sta arrivando l’atteso aumento sugli assegni per questi pensionati, ma la speranza sulla realizzazione dei successivi step migliorativi potrebbe essere vana
Riguardo alla pensione, sempre più spesso i lavoratori si adoperano per mettersi nelle migliori condizioni di ottenerla sin dai primi passi nell’accesso al mercato del lavoro. E ben presto ne conoscono i limiti e le vicissitudini: a riprova di ciò, nel corso dei recenti anni si sono andate diffondendo numerose forme di pensioni integrative, versate autonomamente dai lavoratori nel corso della loro carriera agli istituti di credito che le promuovono.
L’invito a supportare l’investimento sull’integrazione al trattamento previdenziale che spetta di diritto arriva essenzialmente dalle principali fonti di cultura finanziaria, oltre dagli stessi promotori dei prodotti creati ad hoc, ancorché dalle istituzioni pubbliche che hanno in gestione i contributi trattenuti sulle buste paga delle singole categorie di lavoratori. Si giunge pertanto a due conclusioni: la prima è che la pensione INPS non è essenzialmente sufficiente a supportare l’odierno costo della vita; la seconda è che l’assegno previdenziale ottenuto con il riconoscimento, non rispecchia lo sforzo cumulativo trasmesso dagli anni professionali.
L’atteggiamento concorde tanto dei professionisti con stipendi e compendi importanti, quanto dei lavoratori dipendenti con ben più modeste retribuzioni, sul tentativo di affidarsi a tipologie aggiuntive di rendita (sebbene in misure diversissime), rileva la presa d’atto che effettivamente gli strumenti previdenziali di base si rivelano troppo spesso non bastevoli addirittura affrontare le sfide della terza età.
Gli ostacoli non si attenuano affatto di fronte alle modifiche ricorrenti dei sistemi pensionistici; o per meglio dire di quei piani di pensionamento anticipato, dettati dalla fotografia della demografia nazionale. La drastica riduzione delle nascite si tradurrà nel futuro, con una ridotta generazione di lavoratori; d’altro canto, per l’attuale sistema contributivo, le odierne trattenute sui cedolini hanno lo scopo di coprire, nelle casse dell’INPS, i pagamenti delle pensioni d’oggigiorno.
In ultima analisi, occorrerà capire chi pagherà le future pensioni, di fronte ad un aumento della popolazione anziana. Inoltre, già oggi l’accesso al lavoro è ostacolato dall’impossibilità di un corposo ricambio generazionale degli impiegati, date le relative conseguenze circa l’impatto sulle risorse finanziarie dello Stato. Oltre a ciò, l’attuale crisi economica e l’inflazione hanno imposto un generale aggiornamento degli importi previdenziali (in ritardo da molti anni).
Di sicuro, la legge di bilancio 2023, la quale ha pianificato tutti gli interventi di rivalutazione dei contributi, ha indubbiamente privilegiato proprio le pensioni. A fronte del primo piano di adeguamento ISTAT, in parte anticipato nell’ultimo trimestre dello scorso anno, sui trattamenti previdenziali, la manovra ha previsto indici di rivalutazione sulla base dei prezzi al consumo specifici per le pensioni minime.
Dall’annuncio di inizio, soltanto sui cedolini di settembre stanno massicciamente affluendo gli importi integrativi scaturiti da due indici percentuali di rialzo: +1,5% per i pensionati minimi fino a 75 anni; incremento del 6,4% per gli over 75. L’ultimo indice ha attestato il cedolino a quasi 600 euro di pensione al mese. Inoltre stanno arrivando anche gli arretrati e i conguagli INPS derivanti da fattori anagrafici e da fattori relativi all’ISEE familiare.
Di sicuro, sarà estremamente complicato per l’attuale governo sul sogno della destra (sin dalle promesse berlusconiane) di portare il tetto delle minime a mille euro nel 2024. Mentre sono riconfermate Ape sociale e Opzione Donna, la nuova rivalutazione ISTAT potrebbe aggiungere soltanto un rialzo dello 0,8%; tradotto, 4,50 euro in più. Non è però esclusa una rivalutazione aggiuntiva del 2,7%, ma i ratei non si attesteranno oltre i 620 euro mensili.