Ecco quali sono le prospettive della pensione per le classi di età più giovani, si lavorerà fino alla vecchiaia
La riforma delle pensioni resta uno degli obiettivo del governo e delle parti sociali alla ricerca continua di una soluzione che consenta il superamento della riforma Fornero. In realtà finora le prospettive di cambiamento appaiono ridotte e non si preannunciano grosse novità per il prossimo futuro. Gli stretti vincoli di bilancio e la ristrettezza di risorse disponibili per un’inversione di rotta non lasciano ampi margini di manovra.
Il sistema pensionistico italiano sembra tutt’altro che sostenibile e non garantisce alle generazioni future, e a parte di quelle attuali, di accedere a un assegno pensionistico dignitoso. Il sistema contributivo puro unito a una situazione demografica allarmante (invecchiamento generale della popolazione con un numero di nuove nascite sempre più esiguo) rischia di dare al giovane un futuro grigio.
Secondo le stime riportate del Consiglio nazionale dei giovani (organo consultivo facente parte del Forum europeo per la gioventù) e dell’Eures (Rete europea per la cooperazione nei servizi per l’impiego) la realtà dei prossimi anni è insostenibile socialmente. Le regole attuale obbligano a lavorare di più per ottenere assegni pensionistici più bassi delle precedenti generazioni.
Chi oggi ha meno di 35 anni non potrà abbandonare il lavoro, sempre che lavori, prima dei 73,6 anni per ottenere un assegno non superiore ai 1.650 euro lordi, ina base ai contributi versati all’Inps e alla tassazione Irpef. Questo calcolo è determinato dalle regole imposte dalla riforma Fornero.
Le caratteristiche del sistema pensionistico attuale sono punitive verso i lavoratori con retribuzioni più basse, costretti a rimanere nel mercato del lavoro più a lungo per tre – sei anni (a prescindere dall’anzianità contributiva) rispetto a lavoratori coetanei con redditi più alti e maggior stabilità professionale. In maniera evidente il sistema attuale sposta nel futuro le diseguaglianze reddituali e nega qualsiasi dimensione redistributiva.
Il sistema previdenziale italiano ha regole tra le più rigide d’Europa. Chi ha iniziato a lavorare a 20 anni nel corso del 2020, andrà in pensione non prima dei 71 anni, situazione simile a chi non raggiungerà i 20 anni di contributi con un assegno pari almeno a una vola e mezzo il minimo già ora con il contributivo puro (a partire dal 1996).
A rendere socialmente insostenibile l’attuale sistema, oltre a una minore convenienza generale per i lavoratori, le condizioni del mercato del lavoro contraddistinte da precarietà, discontinuità e retribuzione basse. I contratti a tempo determinato per le fasce di età più giovani sono in costante calo negli ultimi 10 anni, mentre cresce il ricorso a contratti atipici e a termine.
Le retribuzione degli under 25 nel corso del 2021 corrispondono al 40 per cento di quelle complessive, per i lavoratori tra i 25 e i 34 anni le retribuzioni sono pari al 74 per cento, con forbici ancora più ampie per le donne. Tali divari permangono poi nel tempo con retribuzioni che non crescono a sufficienza per garantire poi pensioni dignitose.
Dunque a fronte di una situazione così difficile, per le giovani generazioni ma non solo, sono sempre più forti le richieste di una pensione di garanzia per i giovani con strumenti di sostegno e copertura del monte contributivo per i periodi di difficoltà salariale e precarietà contrattuale. Un tema su cui sembrano esserci delle convergenze tra le parti, ma che al momento resta un solo un programma di lavoro in vista di una riforma complessiva del sistema ancora lontana.