Andare in pensione a 67 anni è possibile, ma per alcune categorie questa opportunità rischia di scomparire del tutto
Oggi con la riforma Fornero esiste la possibilità di andare in pensione a 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi. Si tratta della pensione di vecchiaia, uno dei punti cardine del nuovo impianto del sistema pensionistico italiano. Un sistema che non soddisfa nessuno, ma che risulta estremamente difficile modificare sostanzialmente.
La questione pensionistica continua a tenre banco nella discussione politica sia tra le forze di governo sia con i partiti di opposizione. Anche le parti sociali dai sindacati alle associazioni di categoria degli imprenditori e dei professionisti ne sono coinvolti. Nel governo, che comunque avrà l’ultima parola la tendenza è limitare gli effetti della riforma Fornero, ma con risultati scarsi finora.
Nella maggioranza di governo si fa strada l’ipotesi di un ennesimo anno di transizione in vista di una futura riforma complessiva del sistema pensionistico. Infatti il governo sembra voler proporre una proroga del sistema delle quote che posticipi il ritorno del sistema Fornero, mantenendo la possibilità di anticipare i tempi per l’accesso alla pensione.
Quindi in pensione con 41 anni di contributi versati e 62 anni di età anagrafica, un anticipo che coinvolge chi ha versato contributi anche prima del 1° gennaio 1996, anno dell’introduzione in Italia del sistema contributivo basato sul calcolo dei contributi versati nella carriera lavorativa per formare il montante contributivo. Ma per chi non ha contributi dopo tale soglia?
La certezza è il requisito anagrafico generale che per la pensione di vecchiaia dei lavoratori dipendenti iscritti all’Inps o ad altre casse di previdenza obbligatoria, compresa la cosiddetta Gestione separata, rimane fino al 2024 di 67 anni, oltre a 20 anni di contributi. La pensione di vecchiaia rappresenta da sempre la più importante forma di previdenza pubblica in Italia versata ogni mese dall’Inps in favore di migliaia di lavoratori dipendenti e autonomi.
Ma si deve ricordare che i lavoratori con contributi esclusivamente dopo il 1996, per poter andare in pensione a 67 anni con l’opzione vecchiaia, devono aver maturato una pensione con importo non inferiore a 1,5 volte il valore dell’assegno sociale. Con la rivalutazione del 7,3 per cento dovuta agli aumenti del tasso di inflazione, l’importo della pensione minima è aumentata e con questo la soglia per poter andare in pensione (l’assegno sociale nel corso di quest’anno è di 503,27 euro).
Per questo limite ci sono lavoratori e delle lavoratrici costrette a rimandare il momento per andare in pensione. Infatti non raggiungendo 1,5 volte l’assegno sociale occorre attendere i 71 anni di età per poter accedere alla pensione. Si calcola che con gli adeguamenti della pensione di vecchiaia alle aspettative di vita in crescita dopo lo stop della fase pandemica, anche la soglia della pensione di vecchiaia cresca in misura considerevole.
Nel 2050 potrebbe arrivare a 69 anni di età o addirittura a 71, mentre chi non avrà un montante contributivo sufficiente a causa di carriere lavorative precarie, discontinue e con retribuzione basse dovrà compiere addirittura 74 anni, se non 75. Un’età inimmaginabile solo alcuni anni fa, considerando anche che un assegno pensionistico dignitoso potrebbe non arrivare nemmeno a quella veneranda età con il sistema vigente.