Ecco il premio che i Comuni più sensibili al sostentamento delle persone svantaggiate stanno elargendo ai loro cittadini. A persuadere restano le tasse
In questi ultimi anni, sono stati prodotti dei dati inequivocabili in ambito globale, ma è sufficiente fare un carotaggio nella società italiana per prendere consapevolezza di alcuni fenomeni in atto. È aumentata la povertà; e non si sta parlando né del terzo mondo né dei numerosi Paesi in via di sviluppo. No, si sta parlando dell’Occidente, del cosiddetto mondo avanzato. Certo, occorre inquadrare la povertà in un’ottica specifica.
Da un lato, la mancanza di risorse economiche, scaturita dal graduale impoverimento dell’economia, non è un altro che una tara legata all’inflazione. Nei principi base dell’economia, l’aumento dei prezzi, in termini inflazionistici (appunto), è accompagnato proporzionalmente dalla diminuzione delle entrate e dei guadagni. In una trama fondamentalmente consumistica, significa pure che una buona parte della società accede sempre di meno ad una rete di consumi che non appartengono alle società più povere, ma che sono annoverate nello status symbol delle società più ricche.
Nel quadro del medesimo impoverimento, la suddetta tara alimenta altresì il differenziale delle condizioni di vita. Le crisi economiche che dai primi anni Duemila non hanno più abbandonato né il continente europeo né l’Occidente in genere, sono a dimostrare la loro efficacia ad allargare il divario, la forbice tra strati della popolazione più agiata e quelli della popolazione svantaggiata.
Si parla di una forbice che si allarga sempre di più: i pochi più fortunati sono ancora più pochi; gli svantaggiati, sempre di più; ma soprattutto, ai primi si allarga la fetta di risorse da consumare, ai secondi, invece, si riduce. In questo limbo di mezzo, si riducono sì i consumi, ma anche viene gradualmente meno l’accesso anche ai beni essenziali: la fotografia dello stato dell’arte peggiora se si considera che nel mezzo dei numeri e delle statistiche vi sono famiglie, figli molto giovani, soggetti molto anziani.
A caratterizzare inoltre il suddetto differenziale vi il fattore tipico delle società contemporanee avanzate: lo spreco. Non soltanto qualsiasi bene è progettato per assolvere ad una funzione per una vita sempre più breve, ma per la maggior parte, i prodotti raggiungono il cassonetto della spazzatura prima ancora di completare il suo percorso di consumo. Nel caso del cibo, alcuni paradossi sono tragicomici: per la tutela del consumatore, infatti, i supermercati si disfano dell’invenduto prima ancora che questo scada.
Nel corso del tempo alcune associazioni virtuose, come il Banco Alimentare (ma anche molte altre), hanno provato ad invertire la rotta; ma il “sistema”, fondamentalmente, non vuole che si acceda a quei prodotti commestibili ancora buoni. L’inversione di rotta, però, deve arrivare direttamente dalle case dei consumatori. Alcuni Comuni italiani, per così dire “virtuosi“, hanno avuto un’idea: ai cittadini che doneranno cibo, verrà corrisposto uno sconto sulla tassa dei rifiuti, la TARI.
Sull’esempio di Milano, Roma e Genova, i Comuni di Mondovì, Cuneo e Savigliano stanno destinando una riduzione del 25% della tassa a coloro che destineranno le loro eccedenze alimentari a Caritas e agli amici della Cittadella della Carità. A Mondovì, per esempio, il progetto punta in futuro, con lo stesso principio, alla restituzione di quote Irpef a chi è in difficoltà e ai rimborsi parziali sulle bollette. Il piano, in linea con la legge Gadda del 2016, sul recupero delle eccedenze alimentari, non è stato sostenuti da comuni cittadini e consumatori, ma anche da parte delle stesse aziende ed esercizi commerciali, come alcune panetterie.