Ecco di cosa si parla mentre si consuma, come in questi giorni, l’attesa per gli aumenti sui cedolini dei lavoratori dipendenti. Cosa realmente succede
Il mese di agosto è arrivato e con esso anche lo spirito delle partenze in avvicinamento. Per molti lavoratori, l’attesa delle ferie è mediata dalla consueta e tradizionale pausa estiva inaugurata dalla festività di Ferragosto e prolungata per circa una o due settimane, a discrezione dell’impresa e del tipo di attività. Nel frattempo, sono lungi dal consumarsi le incombenze di lavoro e di famiglia, provenienti dall’habitat urbano.
A ciò bisogna altresì aggiungere che l’inizio di agosto vedrà il consueto appuntamento con la tornata mensile delle consegne relative alle pensioni. Si tratta di un’occasione per un ulteriore avanzamento dell’intenso lavoro svolto dall’INPS nel contesto dell’aggiornamento ISTAT sugli importi delle misure previdenziali. Questa volta tocca all’atteso aumento delle pensioni minime tramite il doppio indice previsto dalla legge di bilancio: 1,5% per i pensionati minimi fino a 75 anni: 6,4% in più per i percettori over 75.
Difficile applicare medesime espressioni di soddisfazione per i lavoratori. Innanzitutto perché in termini generali è difficile parlare di specifiche misure di aumento in contanti del compenso quanto piuttosto di forme di detassazione. Uno di questi tentativi è quello che si potrà osservare soltanto dal prossimo mese di dicembre, ovverosia il taglio del cuneo fiscale contributivo destinato ai lavoratori dipendenti.
Si parla sostanzialmete – anche in questo caso – di una doppia percentuale, ovviamente di taglio a favore dei redditi più bassi da lavoro dipendenti: un taglio del 7% ai redditi fino a 25mila euro; un abbattimento delle trattenute del 6% per i redditi sopra i 25mila euro e fino a 35mila euro. Il fatto che vengano scalfite le trattenute contributive non significa che la misura di riduzione della pressione fiscale colpisca la condotta contributiva ai fini della propria pensione.
Eppure, l’equivoco che ci si possa aspettare degli aumenti sullo stipendio è un rischio cronachistico che emerge facilmente. Ad agitare le aspettative, ad esempio, è il cosiddetto bonus 200 euro. Oltretutto, si tratta di un fantomatico contributo in attesa da parte di alcuni lavoratori sulla busta paga di luglio. In realtà, occorre apprendere che non vi è alcun extra in arrivo, quanto piuttosto uno sgravio contributivo.
Entrando nei particolari, si scopre che lo sgravio non è affatto un taglio “cash” di 200 euro, ma un indice percentuale del 4% sull’attuale quota di contributi che grava sul lavoratore con uno stipendio: ossia è taglio del 4% che verrà “scontato” fra l’odierno 9,19%, che nei dipendenti pubblici è invece del 8,80%. Lo sgravio trasformerebbe così la pressione contribuita: per coloro che guadagnano fino a 1.923 euro, 2,19%, e per i dipendenti pubblici 1,80%; per coloro che guadagnano tra 1.924 e 2.692 euro, 2,19%, e per i dipendenti pubblici 2,80%. Pertanto non si parla di aumenti pari a 200 euro, ma di aumenti di circa 100 euro al mese, che in termini netti segnano una differenza, tra giugno e luglio, di 65 euro; ma questo chi ha un reddito annuo massimo di 35 mila euro. Altrimenti, nelle buste paga annue di 10mila euro, l’aumento supera poco più i 25 euro.