L’Agenzia delle Entrate può opporre una serie di controlli su questi utenti che si avvaalgono del servizio di pagamento elettronico. Cosa andrà a verificare
Oggigiorno i servizi offerti ai cosiddetti consumatore o utenti non solo tali se non sono verificabili. O per dirla con un altro termine: tracciabili. È infatti la parola chiave di questi tempi, suggerita dalla componente pervasiva in ogni singola quotidiana esistenza: la tecnologia. D’altronde, non si può non testimoniare di aver trascorso anni esposti alle più varie opportunità di danneggiamento e truffa: basti pensare alle carte magnetiche.
Ancora oggi, la clonazione rappresenta il fenomeno a cui viene opposto una moltitudine di azioni di contrasto, supportate da algoritmi e fagocitate a colpi di linguaggi binari e – perché no – intelligenza artificiale. L’ambito da scandagliare resta sempre lo stesso, quello dei pagamenti, ed in particolare oggi è quello dei pagamenti elettronici; si tratta del perenne campo minato, dove schiere di truffatori 2.0 agiscono con i mezzi altrettanto tecnologici per derubare non più portafogli, ma conti correnti.
D’altronde, i pagamenti elettronici hanno altresì stimolato la normativa sui pagamenti; la normativa antiriciclaggio si è dunque straordinariamente implementata verso l’anelato orizzonte di sempre legato alla sistematica tracciabilità del denaro. L’attenzione maggiore è perlopiù rivolta ai pagamenti e ai compensi sullo scambio di servizi; in altre parole, sui compensi tra clienti e fornitori, in particolare i liberi professionisti.
I pagamenti a nero restano l’ingrediente principale della contrastata lotta all’evasione, e oggigiorno si prova a forzare la mano e ad incanalare i compensi tra bonifici di pagamento chiari e dimostrabili, o attraverso l’immediato tracciamento di un accredito derivante da una carta bancomat o da una carta di credito, il cui importo dev’essere inderogabilmente riconducibile alla somma saldata di una fattura.
Certo, i sofisticati strumenti oggi a disposizione sono stati mutuati dalle condizioni più semplici di acquisto, sebbene stimolate da circostanze alquanto straordinarie. Pertanto, dalla emergenza sanitaria da Covid-19, l’ascesa dei pagamenti elettronici sulle piattaforme online di e-commerce ha dettato un nuovo standard difficilmente scrollabile, quanto irrinunciabile. Cambiando, tra l’altro, gran parte delle abitudini correlate all’accaparramento di tutto ciò che necessita una qualsiasi persona.
Oltre la necessità, però, ricorrere al nuovo trend di consuetudine telematica ha seguito un rapido processo di sicurezza e fidelizzazione dei clienti. Da una parte i maggiori siti web di commercio online si sono attrezzati delle più aggiornate ed avanzate certificazioni a disposizione degli attuali protocolli di sicurezza, utili a blindare ogni transazione dal possibile attacco di malware e virus.
In effetti, a latere del profondo avanzamento, vi è un aspetto che avanza in controtendenza: ovverosia, il fatto che mai come oggi sono esposti nella supercontrollata piazza della Rete i dati sensibili delle carte associate ad un conto corrente o ad altri tipi di giacenze. Da alcuni anni, a fare da ulteriore filtro tra il residuale mondo materiale delle finanze personali e il babelico diaframma di Internet è venuto in soccorso PayPal, il servizio di pagamento elettronico oggi più diffuso, con milioni di utenti nel mondo.
In tal modo, gli acquisti vengono effettuati addebitandoli da un conto sganciato da conti correnti o da carte di credito, ma ricaricato secondo le necessità. Ma un conto PayPal potrebbe trasformarsi in un conto che qualche utente italiano potrebbe alimentare indisturbatamente, all’insaputa dell’Agenzia delle Entrate: eventualmente, possono essere fatti confluire addirittura versamenti e girofondi P2P. Per questo, e grazie ad accordi internazionali, l’Agenzia delle Entrate può controllare il conto PayPal e censirlo, assieme al conto corrente, nell’Anagrafe dei conti correnti (appunto), l’enorme archivio nazionale dove vengono fatte circolare tutte le movimentazioni bancarie dei contribuenti.