Ecco quando sussistono le reali condizioni per agire con gli strumenti legali di fronte ai danni causati da un’offesa pubblica. Come occorre comportarsi
La televisione è uno dei tanti veicoli culturali che circondano una società civile, specialmente se appartenente a quelle cosiddette “avanzate”. Occorre dare all’aggettivo “culturale” una connotazione sfumata nel contesto in cui viene inserita. In Italia, patria letteraria per eccellenza, ha imparato nei decenni della sua storia moderna la lezione dei Paesi televisivamente “svezzati” e ha rielaborato la vecchia lezione offerta dall’antesignano strumento della radio. Come si suole dire, il processo di democrazia di un popolo è passato anche dal piccolo schermo.
In effetti, pure le dittature seguono un’analoga strada, cambiando però profondamente la meta del percorso. Ai tempi dei primi e soli canali della Rai – si parla degli anni del boom economico, degli anni Cinquanta e Sessanta – qualche connazionale ha imparato anche a scrivere e a leggere attraverso le lezioni televisive di comprensione dell’alfabeto. Un processo di familiarizzazione dell’apparecchio che ha altresì prodotto un processo di nuova alfabetizzazione. Per indole istituzionale, la tv di Stato non poteva (e non può, ad oggi) non parlare, non trattare della politica. La tv, dunque, come strumento di propaganda? Forse; ma anche di potenziale confronto.
I più veterani tra i telespettatori avranno una lontana memoria di quelle che venivano chiamate le tribune politiche. E queste non avevano luogo soltanto durante le febbrili tornate elettorali, ma anche nella prassi del “normale” dibattito pubblico sulle questioni che chiamano pubblicamente in causa i cittadini. Sono passati, lungo i banchi di queste moderne tribune, i moderni Cesari, a loro volta sostanza di una classe politica che non esiste più ed è pressoché irriproducibile. L’approccio del cittadino stesso alla politica si è trasformato parallelamente al graduale cambio di linguaggio politico, dovuto essenzialmente alla televisione.
Il linguaggio è cambiato; il modo di apprendere l’informazione è scevro degli idiomi del passato; l’identikit del personaggio politico è del tutto differente; la televisione si è radicalmente rinnovata in un processo di perenne trasformazione. Infine, la società civile non la stessa, di decennio in decennio. Al posto delle tribune politiche, spadroneggiano i talk show. Format oramai collaudato e consolidato, si basa su un approccio al dibattito più immediato, più stringente, dai tempi serratissimi e dunque privi di margini di approfondimento.
Quest’eletticità dialettica genera una tensione tra gli ospiti barra avversari che finisce per sfociare nel malinteso e da qui ad un irrecuperabile corto circuito: quella nota come la gazzarra televisiva. Ovviamente non succede soltanto nei programmi di approfondimento politico, ma anche tra i salotti dello svago catodico: liti, insulti, minacce, promesse di denuncia e querela. In una parola, la diffamazione. È la strana malattia che contagia i cosiddetti personaggi pubblici, dagli onorevoli agli entertainer. Tanto che se ne sente parlare davanti le telecamere come la principale maledizione; ma cos’è la diffamazione e cosa comporta legalmente? Essa è riconosciuta nell’articolo 595 del Codice Penale quale l’offesa “all’altrui reputazione“.
Le pene stabilite dal Codice sono ben chiare: dalla reclusione fino a un anno alla multa fino a 1.032 euro. Le circostanze, meno: vengono condannati coloro che rilasciano, in presenza di più persone e in assenza della vittima, dichiarazioni lesive per la reputazione di una persona. A concorrere alla gravità della pena vi sono le conseguenze è principalmente la gravità degli argomenti lesivi. La denuncia per diffamazione avviene davanti alle forze dell’ordine, tramite lo strumento della querela (come accennato), non oltre i 3 mesi dall’avvenuto rilascio delle dichiarazioni diffamatorie: in tale contesto, la parte lesa presenta le prove e manifesta l’intenzione di voler procedere per vie penali. Nessun giudizio di colpevolezza per il querelato se risulta che: la tutela della reputazione della persona offesa è meno importante dell’interesse pubblico; le frasi diffamanti sono esplicitate sulla base di fatti reali; oppure che le offese siano rivolte con espressioni pacate e contenute. Nel contesto pubblico, come i social media, la dichiarazione diffamatoria risulta più grave e le sanzioni si inaspriscono: reclusione di due anni e multa di 2.065 euro, se ci si riferisce a un fatto specifico; la reclusione tocca i tre anni, per offese a a mezzo stampa o di pubblicità. Se le offese investono autorità dello Stato e il corpo politico, amministrativo o giudiziario, la multa aumenta a 6mila euro.