Ci sono dei casi in cui un dipendente si licenzia senza perdere l’indennità della NASPI. Ecco quando questo succede: i casi
La legge italiana prevede che le persone che si trovano in uno stato di disoccupazione involontaria hanno diritto ad una indennità in forma di sussidio. Stiamo parlando della NASPI, introdotta nel 2015 in sostituzione di Aspi e MiniAspi. Tale sussidio va a compensare il mancato guadagno che queste persone avrebbero conseguito continuando a lavorare ed è proporzionale al reddito da lavoro precedentemente percepito.
Nel dettaglio in Italia esistono quattro tipi di indennità di disoccupazione: l’indennità di mobilità; NASPI; DIS-COLL e l’Indennità speciale di disoccupazione per il settore edile. Tra queste quattro, in particolare la NASPI, può essere percepita anche nel caso in cui è la persona stessa a licenziarsi ma il licenziamento deve essere “per giusta causa”. Vediamo tutti i casi in cui ci si licenzia e si ha diritto alla NASPI.
L’ordinamento giuridico italiano prevede che la NASPI è riconosciuta al lavoratore dipendente che perde involontariamente il lavoro. La NASPI, quindi, spetta per licenziamento e scadenza del contratto a termine, come accade ad esempio nel caso dei lavoratori stagionali. Nel caso in cui è invece il lavoratore a presentare le proprie dimissioni volontarie, allora l’indennità solitamente non spetta a meno che il licenziamento non è uno dei casi spiegati in seguito.
Nella circolare numero 94 del maggio 2015 l’INPS specifica che “Lo stato di disoccupazione deve essere involontario. Sono esclusi, pertanto, i lavoratori il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni o di risoluzione consensuale”. Nonostante questo, nello stesso messaggio, l’INPS specifica che la NASPI è riconosciuta in caso di dimissioni per giusta causa o nel periodo tutelato di maternità.
Per dimissioni per giusta causa si intende quando la risoluzione del rapporto di lavoro avviene per inadempienza del datore di lavoro. La NASPI spetta se le dimissioni sono presentate per mancato pagamento della retribuzione; aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro; modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative. Ancora in caso di mobbing; notevoli variazioni delle condizioni di lavoro; dallo spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra e dal comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente.
Ci sono poi altri casi per cui la NASPI spetta sempre poiché rientrano nei casi di “licenziamento per giusta causa”. Tali casi sono: mancato o ritardato pagamento della retribuzione; omesso versamento dei contributi; comportamento ingiurioso del superiore gerarchico; pretesa da parte del datore di lavoro di prestazioni illecite. Ancora, significativo svuotamento del numero e del contenuto delle mansioni, imposizione al lavoratore che ha scelto di lavorare durante il preavviso, di godere le ferie residue con sovrapposizione di queste al periodo di preavviso.
Nel caso in cui le dimissioni siano per giusta causa la NASPI sarà corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni, nel rispetto comunque del tetto massimo di 24 mesi. Sono a tal fine esclusi i periodi contributivi che hanno già dato luogo all’erogazione delle prestazioni di disoccupazione, anche in un’unica e anticipata soluzione.