Si comincia a parlare di una nuova iniziativa del governo a favore dei lavoratori dipendenti: l’estensione delle aliquote Irpef circa il bonus integrativo
Dal punto di vista previdenziale, il tema delle pensioni rappresenta l’argomentazione prevalente all’interno di un sistema sociale che in buona parte è composto dai suoi protagonisti. D’altronde, non può essere altrimenti entro una demografia nazionale, dove l’età media avanza, sì, ma soltanto in rapporto ad una flessione delle giovani leve di cittadini, ossia i potenziali lavoratori di domani (ma già da oggi) e perché no, i potenziali pensionati del futuro.
Nella realtà, l’avvicendamento generazionale nel mondo del lavoro è un passaggio estremamente delicato, dato che il sistema nazionale che supporta l’organizzazione sociale non può comprendere una maggiore forza professionale e occupazionale, né può agevolare una sostanziosa uscita dei lavoratori in procinto di rispondere a tutti i requisiti di riconoscimento pensionistico per consentire un robusto accesso dei giovani lavoratori; il primo processo è impedito dal ben limitato quadro produttivo italiano, mentre il secondo processo è precluso dall’inconciliabilità delle casse statali a soddisfare con risorse sufficienti il surplus di pensionati.
È vero che in questi ultimi due anni, oltre alle misure previdenziali straordinarie e ai sussidi erogati direttamente dall’INPS, le pensioni non hanno fatto altro che fare notizia. In prima battuta, c’è stato l’adeguamento ISTAT su base inflazionistica che ha incrementato gli importi dei cedolini INPS tra l’ottobre 2022 e gennaio 2023; dall’inizio del nuovo anno, oltre ai conguagli e ai trattamenti integrativi, è arrivato l’aumento delle pensioni minime, ed in particolare per gli over 75, con un rateo portato a quasi 600 euro.
Ma a quanto pare, ha rappresentato un bel proclama quello di gennaio, visto che tale scatto previdenziale non si è ancora concretamente realizzato. Il lungo iter di accertamenti, ma soprattutto il farraginoso aggiornamento delle tabelle, dunque i ricalcoli, hanno procrastinato l’attuazione, fino a renderla “realistica” per il prossimo mese di settembre. Per quanto riguarda l’ambito del lavoro, invece, gli aumenti non sono solitamente materiali, ma scaturiti da piani di detrazioni e di detassazione, specialmente se legati ad un contesto familiare di cui è a carico il lavoratore.
Ad andare in questa direzione, va sottolineato il taglio del cuneo fiscale contributivo, di cui il governo Meloni ha strutturato in una “doppia” forbice: l’indice di defiscalizzazione delle trattenute del 7% per i redditi lordi annui fino a 25mila euro, e del 6% per i redditi oltre i 25mila e fino a 35mila euro. Dopo gli annunci e i ritardi sulla realizzazione della misura, l’ultima nuova vuole che il taglio si avrà in un’unica soluzione sulla busta paga di dicembre. Nel ricercare un “raro” provvedimento di aumento nello stipendio, oltre i periodici aumenti dovuti ai rinnovi dei contratti nazionali di categoria, si può scoprire nient’altro che il “bonus Renzi”, oggi ribattezzato bonus IRPEF. Il premier Giorgia Meloni ha recentemente annunciato l’estensione della platea dei beneficiari, in concomitanza con l’introduzione delle nuove aliquote (25%, 35% e 43%). Il diritto al bonus da 100 euro si inserisce nella prima fascia, corrispondente ancora all’aliquota del 23% (anziché del 25%). La novità riguarda l’estenzione al 25%; in termini pratici, da un reddito di 15mila a 20mila euro.