Ecco quando spetta il vecchio trattamento integrativo sul cedolino dei lavoratori dipendenti a seguito delle recenti modifiche legislative. I particolari
Archiviato il mese di maggio, è ora il turno di giugno, il mese che da l’avvio ufficiale all’estate (anche se bisogna inoltrarsi nella seconda metà per attendere lo sparo dello starter). Non è tanto il mese delle vacanze (per molti sono ancora lontane), quanto il mese in cui si concentra l’organizzazione delle vacanze. E per i tanti lavoratori dipendenti, ma non certo tutti, si tratta di incominciare a confrontarsi con il datore di lavoro e i colleghi per pianificare il lavoro in base al calendario delle ferie.
Sebbene, con gli anni, le chiusure estive che caratterizzano le attività produttive si fanno sempre più brevi, e al contempo i lavoratori procrastinino a settembre le loro ferie, o altrimenti le frammentano consumandole in vari periodi dell’anno, il datore di lavoro non può imporre unilateralmente l’effettivo ristoro feriale, né imporre la mancata concessione. In tempi di penuria, diversi soggetti preferiscono non assentarsi per incamerare l’indennità per ferie non godute (almeno coloro che prevedono la retribuzione per ferie godute).
La busta paga rappresenta oggigiorno il caotico laboratorio dove impegnarsi – sotto ogni profilo, non soltanto professionale – per poter ottenere sufficienti entrate per garantirsi il sicuro sostentamento per sé e/o per il nucleo familiare a carico. Nel contesto del lavoro dipendente, molti fattori insiti nel noto documento dipendono dalle garanzie ottenute dai rappresentanti dei lavoratori operanti nelle diverse categorie.
In buona sostanza, buona parte dei reali miglioramenti che si sono colti negli ultimi anni hanno come origine una faticosa contrattazione sindacale, culminante nella dura negoziazione che porta ai rinnovi dei contratti nazionali di categoria. Questi ultimi hanno recentemente condotto all’aumento degli importi in alcuni settori dell’ambito pubblico, a partire dalla sanità, la scuola e le forze dell’ordine. Non bisogna dimenticare però anche le iniziative previdenziali prese per affrontare il calo del potere d’acquisto.
In primis, l’adeguamento ISTAT sulla base degli indici inflazionistici ha fatto aumentare non soltanto i prezzi dei beni di consumo, ma anche le tredicesime. Parimenti, è da sottolineare l’importanza della prossima applicazione del taglio del cuneo fiscale contributivo; il taglio atteso prevede una doppia forbice per i redditi da lavoro dipendente più bassi: del 7% per i redditi fino a 25mila euro; del 6%, per le buste paga fino a 35mila euro lordi all’anno. I soldi, dunque, arriveranno nelle tasche tramite l’abbattimento delle trattenute fiscali, pur mantenendo inalterato l’importo dei contributi versati. D’altronde è così che funziona per i lavoratori dipendenti, rispetto agli accrediti diretti dei percettori INPS. Sempre meno di recente, nonostante la misura sia relativamente giovane, un’integrazione cash in busta paga è stata prodotta dal cosiddetto bonus Renzi, che oggi è divenuto “ex Renzi”, sostituito da “Bonus Irpef”. Con le modifiche introdotte dal 1° gennaio 2022, in seno all’introduzione delle nuove aliquote, a beneficiare del trattamento integrativo sono i redditi non più fino a 40mila euro lordi annui (1.200 euro al mese), bensì fino a 28mila euro. L’integrazione è sempre la stessa: circa 100 euro lordi ogni mese.