Se per il neo pensionato significa un assegno più basso, per le casse dello Stato si traduce nella spesa di un costo più elevato. Di cosa si sta parlando
Nel corso del precedente anno, la data fatidica del 24 febbraio non ha soltanto dettato una nuova agenda mondiale, a causa degli eventi bellici scoppiati, della deflagrazione della crisi energetica del gas e del blocco di molte risorse destinate all’Europa; ha aperto un fronte decisivo verso l’inflazione da cui ha tratto nuova linfa per un’impennata storica, tutt’oggi difficile da arrestare o da attenuare, quantomeno.
La stessa componente inflazionistica costituisce l’annoso tallone d’Achille per il sistema assistenziale della previdenza sociale italiana, in un ambiguo rapporto tra crescita del PIL e pericoloso innalzamento del costo della vita a fronte di entrate gradualmente meno cospicue. Nei dieci mesi che hanno separato l’inizio delle note vicende e l’anno in corso, si è prodotta una risposta tardiva, che sta ora accennando ai cambiamenti auspicati.
Pensione, doppio costo per lo Stato quando viene anticipata
Le pensioni sono tra trattamenti previdenziali che prima di altri hanno beneficiato di iniziative immediate – al di là della loro efficacia, che è un altro discorso – come i bonus emergenziali da 200 e 150 euro destinati ai redditi più bassi, divisi con i lavoratori dipendenti e i percettori di sussidi e indennità. Fino poi a sfociare nella misura strutturale dell’adeguamento ISTAT degli importi, in parte anticipato all’inizio dell’ultimo trimestre 2022.
La compagine dell’attuale mondo del lavoro è altrettanto suscettibile alla evoluzione degli eventi in corso, con ciò che ne deriva, di conseguenza, sulle casse dello Stato. D’altronde, queste ultime si basano sul precario e delicatissimo equilibrio di forze di lavoro in entrata che alimenteranno il sistema contributivo INPS e le uscite – più o meno anticipate – di coloro che hanno raggiunto i requisiti per presentare la domanda per l’ottenimento della pensione.
Attualmente, nell’ottica del trattamento anticipato, è in vigore l’ennesimo sistema transitorio, ossia la Quota 103, raggiungibile a 62 anni di età e 41 anni di contributi versati. Si tratta dell’alternativa alla pensione di vecchiaia che la Legge Fornero impone di raggiungere soltanto a 67 anni ed almeno 20 anni di contributi. Le lavoratrici, tramite l’Opzione Donna, possono congedarsi variabilmente qualche anno prima, a seconda del numero di figli a carico. Di fatto, nell’anticipo pensionistico, chiunque riceve un Ape sociale dall’importo più basso rispetto al rateo della pensione, fino a quando non avrà compiuto il 67esimo anno di età. Per lo Stato, e per il governo attuale, la reale sfida è trattenere i lavoratori, poiché finché vi sono più lavoratori che pensionati, il sistema non crollerà. La previdenza sociale, però, non può fare a meno di accollarsi l’altra spesa, quella di un’indispensabile flessibilità in uscita.