A parità di mansioni e contributivi, la società fa fatica a parificare le potenzialità pensionistiche delle lavoratrici con quelle dei colleghi. I dettagli
La previdenza sociale rappresenta lo specchio del livello egualitario di una società, a prescindere da ciò che il soggetto rappresenta, quale funzione ricopre entro la comunità, qual è il suo livello di censo. Il raggiungimento degli stessi diritti si raggiunge secondo un principio di commisurazione, fornendo le possibilità sociali, professionali e di diritti in base al contributo offerto (purché in presenza delle condizioni per poterlo offrire).
Nel corso degli anni, sotto il piano previdenziale, molto è stato fatto per uniformare diritti e doveri da parte dei cittadini. Da qualche decennio, l’esempio della Legge 104 è fortemente rappresentativo: si tratta di un pacchetto di norme che consente ai portatori di handicap di accedere ad ogni possibilità professionale e previdenziale, tramite agevolazioni fiscali e strumenti previdenziali ad hoc in grado di parificare la qualità di vita.
Paradossalmente, nel mondo delle società occidentali, tanto credito si guadagna su un fronte sociale, quanto spesso si resta indietro su questioni davvero annose. Ad emblema del fronte della disparità e di quanto ancora molto lavoro occorra per fornire degne risposte, si trova la figura della donna; e – occorre dirlo – di tutto ciò che ad essa rimanda. È sufficiente pensare, in linea estremamente generica, al lavoro domestico di una casalinga.
Forse proprio in virtù del fatto che le attività domestiche e l’accudimento della famiglia sono svolti in stragrande maggioranza dalle donne, per molti, troppi anni, il lavoro in casa è stato svolto sotto la totale assenza di tutele e garanzie; solo in anni recenti, l’INAIL mette disposizione una polizza assicurativa (tra l’altro, con le dovute eccezioni, è obbligatoria), che tutela in caso di incidenti sul luogo domestico, oltre ad alimentare una seppur modesta forma pensionistica ad hoc.
Si tratta soltanto della punta dell’iceberg, dal momento che il mondo femminile soffre di un’oggettiva disparità nel contesto professionale. È indubbio che per percorrere la medesima carriera ad appannaggio di un uomo, la donna deve applicarsi in un doppio sforzo verso la personale affermazione. A livello pensionistico, le cose non vanno meglio: a parità di mansioni, la donna è pagata di meno e dunque i riflessi sui contributi sono più che evidenti. Il Consiglio Nazionale degli Attuari e Noi Rete Donne hanno sottolineato, in un recente seminario sull’argomento, come nel 2021, le pensionate hanno vantato un reddito lordo medio di 1.321,14 euro al mese, contro i 1.970,19 euro dei pensionati. Esiste un vero e proprio differenziale di genere che produce un 32,9% in più di entrate verso gli uomini. Già in qualità di lavoratrici, le donne accedono di meno nel mondo del lavoro; il tasso di occupazione femminile si attesta al 55%, meno 14 punti percentuali rispetto alla media europea. E dunque, meno pensionate a carico dell’INPS.