Il caso è frequente; molto meno lo sono le reali conseguenze in prospettiva di quanto viene stabilito dalla legislazione. Ecco di cosa si sta parlando
Talvolta vengono narrate sul filo dei preconcetti della leggenda metropolitana, ma non è raro che le assemblee condominiali appaiano come vere e proprie rese dei conti. Fortunatamente, queste non sono tutte così, anzi, in considerazione dell’importanza che esse rivestono nella convivenza dei condomini e nella funzione di mantenimento degli spazi in comune, sono importanti luoghi di decisione e di discussione insopprimibili.
Nel concreto però, spesso divengono l’occasione per far emergere il comportamento scorretto di questo o quel condomino, il quale non rispetta le regole o non assume un corretto atteggiamento di fronte all’utilizzo dei locali condivisi all’interno dello stabile. A margine di episodi risibili o molto seri di quotidiana inciviltà nel teatro degli spazi in comune, si verificano poi fatti di disturbo della quiete pubblica all’interno degli stessi appartamenti.
Un cane troppo fastidio può essere motivo di sfratto?
In linea teorica, per la caducità della natura umana, anche i comportamenti più sgradevoli tra le mura di casa, ma senza raggiungere ancora il livello del reato penale, possono considerarsi normali: una lite fra coniugi, gli schiamazzi di una festa, il prolungato e disperato pianto di un bambino, l’inesauribile abbaiare di un cane ecc. Nonostante la circoscrizione del fenomeno presso un ambiente privato, riguardano eccome l’ambito della cosiddetta quiete pubblica.
Gli stessi regolamenti condominiali stabiliscono i criteri, insuperabili, per non disturbare la convivenza degli altri condomini. L’esempio classico è rappresentato dal rispetto del silenzio in talune ore della giornata, nel caso dello svolgimento di rumorosissimi lavori di ristrutturazione di un appartamento. Se un cane abbia in maniera eccessiva e prolungata, in assenza di intervento da parte del proprietario, vi sono delle conseguenze per quest’ultimo?
E se si tratta di un inquilino, rischia lo sfratto? In realtà le domande non sarebbe neanche da porre, visto che un proprietario non può invocare l’inadempimento contrattuale per motivi di ordine “canino”. Sono infatti soltanto due le ragioni tassative per avviare la procedura di sfratto: la morosità e il termine di una locazione (e dunque, con l’inquilino che non vuole andarsene). Al di fuori di queste motivazioni, la proprietà non può fare altro che intentare una causa civile volta a chiedere la risoluzione del contratto (sempre che il giudice ne ravvisi la bontà delle argomentazioni).