L’anno di inizio della propria carriera lavorativa è importante per determinare sin d’ora i ratei della pensione; il ’96 è l’anno della svolta. Ecco perché
Non è così strano che un giovane lavoratore abbia fisso il pensiero della pensione. D’altronde, non vi è mai la certezza di un futuro previdenziale assicurato sin dalla prima fase della carriera personale e dunque, la subentrata incertezza rappresenta una modalità per correre ai ripari. È l’occasione, eventualmente, per puntare con sicurezza e da subito ad un piano di pensione integrativa e complementare, oppure, ridefinire organicamente la propria direzione di vita.
In fondo, complice una storia, nel suo complesso, sfavorevole verso le nuove generazioni, le quali si ritrovano spesso a confrontarsi con un Paese che non è altro che il riflesso di una società mediamente molto vecchia, mentalmente arroccata sulle drammatiche sproporzioni di crescita della popolazione anziana rispetto alla tendenza verso le nascite – quasi – “zero”. Oggi, con la transitorietà delle misure pensionistiche, è l’anno di inizio come lavoratore ad assumere un significato essenziale alla definizione della futura pensione mensile.
Le manovre, le leggi di bilancio, sono state spesso portatrici di cambiamenti profondi e al contempo transitori. Talvolta, in parole spicciole, si è dovuto improvvisamente lavorare qualche anno in più rispetto al vecchio sistema vigente soltanto pochi anni prima, magari più accomodante. L’Italia, nella sua storia moderna, ha avuto pochissime riforme delle pensioni – di cui ce n’è un gran bisogno – ma più che per adeguare il sistema previdenziale alle trasformazioni demografiche dei cittadini, sono state per lo più fonti di malcontento.
LEGGI ANCHE: Cosa rischi se hai una donna delle pulizie senza contratto
Su quest’ultimo sentimento, basti soltanto rammentare il nome della Riforma Fornero. Con molta probabilità si parla di un amaro epilogo che hanno vissuto i testimoni previdenziali del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Considerando come nella maggior parte dei casi odierni, la coda professionale viva una coda tutt’altro che esponenziale, ma involutiva, ciò che si è andato a perdere non è poco.
LEGGI ANCHE: Quanto costa la separazione e cosa sapere
Pertanto, oggi si dà voce alla transitorietà per difendersi da misure complessive temute e al contempo autoimposte. La neonata Quota 103, in sostituzione della scaduta Quota 102, stabilisce i termini anticipatori della pensione con i suoi 62 anni anagrafici e 41 anni contributivi richiesti, per limitare il ripristino completo delle soglie dettate dalla Legge Fornero. A proposito di inizio carriera, è proprio il 1996 a rappresentare un anno di svolta. Negli anni ad esso antecedenti, infatti, sulla pensione di vecchiaia veniva applicato un sistema misto che consentiva di anticipare a 18 gli anni di contribuzione versata. In mancanza di versamenti prima del ’96, anche con un ventennio di contributi, bisognerà attendere la pensione almeno a 71 anni; nel frattempo, se si è maturata una pensione inferiore ad una volta e mezzo l’assegno sociale, scatterà la mensilità ribassata dell’assegno ribassato dell’Ape sociale per tutti gli anni che separano dal limite anagrafico della pensione di vecchiaia.