Come è cambiata Opzione Donna nel 2023 e cosa può succedere nelle prossime settimane per lo scivolo pensionistico
Nei giorni scorsi l’incontro tra i rappresentanti del governo e i sindacati per la questione relativa alle pensioni non ha dato alcun risultato. La discussione ha come obiettivo principale il superamento della riforma Fornero che per la pensione prevede almeno 67 anni di età a partire dal 2024.
Il prossimo confronto avrà come tema principale Opzione Donna nella sia versione introdotta dalla Legge di Bilancio. Questo scivolo infatti ha subito delle importanti modifiche in quella sede, lasciando molto delusi quanti si aspettavano il rinnovo della misura così come era stata pensata e come avevano dichiarato le forze politiche di governo durante la campagna elettorale.
Nella sua versione attuale la prestazione Opzione Donna ha subito dellenotevoli restrizioni nei suoi requisiti. Per ottenerla le lavoratrici dipendenti o autonome devono avere raggiunto i requisiti entro il 31 dicemre 2022 e devono essere “caregiver“, invalide non inferiore al 74 per cento oppure licenziate o dipendenti da imprese in crisi.
Cambiata anche l’età per l’accesso alla pensione cioè 60 anni e 35 anni di contributi completati entro il 31 dicembre 2022 con uno sconto di un anno per ogni figlio fino a un massimo di due anni e quindi due figli. Per le lavoratrci licenziate o dipendenti di aziende in crisi i requisiti anagrafici, invece, saranno differenti: 58 anni e 35 anni di contributi (sempre raggiunti entro il 31 dicembre 2022).
La versione precedente dello scivolo non è stata confermata perché le risorse, secondo le valutazioni del ministero dell’Economia, non sono sufficienti (uscita dal mondo del lavoro a 58 anni, 59 per le autonime, e 35 anni di contributi). Si parla di una proroga di questa versione per i prossimi 6 – 12 mesi, ma con il rischio di creare delle discriminazioni troppo forti per l’accesso alla pensione in base al mese di nascita.
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La previsione è che solo 5mila lavoratrici possano utilizzare Opzione Donna così com’è attualmente con oltretutto una riduzione dell’assegno mensile di circa il 30 per cento. Quindi il rischio che il provvedimento sia un fallimento totale.
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Le parti sociali spingono per tornare alla precedente formula che raccoglie i favori di molte interessate e anche il governo pare disponibile a rivedere le sue decisioni, non resta che attendere gli incontri di febbraio per avere le risposte.