Le disposizioni di legge dettano questo ordine di collocazione e quota circa la destinazione di un immobile ereditato. I particolari
Il sopraggiungere di un evento quale quello di un lutto, rappresenta un accadimento tale da far inevitabilmente detonare una serie di cambiamenti, più o meno radicali, all’interno di una famiglia. Ciò riguarda ancor più prioritariamente quei nuclei dove i componenti superstiti, ovvero coniugi e figli, si sono potuti sostenere – non soltanto affettivamente, ma anche economicamente – sul membro deceduto, poiché a suo carico.
La legge, tramite la regolamentazione INPS, prevede delle garanzie per i membri familiari superstiti economicamente non autosufficienti. In particolare, se il de cuius era titolare di un trattamento pensionistico INPS: in altri termini, viene riservata una quota parte della pensione per ciascun componente (in primis il coniuge), seguendo la linea diretta. Il riferimento è alla cosiddetta pensione di reversibilità.
La normativa, d’altro canto, gestisce – forse – la prima incombenza che subentra prepotentemente nel contesto della morte di un familiare: l’eredità. Quest’ultima viene regolamentata secondo disposizioni legata alla linea ereditaria fino al sesto grado di parentela. E ciò senza la presenza di volontà scritte da parte del defunto, cioè di un testamento depositato presso uno studio notarile.
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I chiamati all’eredità possono avere a che fare con beni di varia natura, ovvero con la giacenza di un conto corrente, di buoni fruttiferi o titoli di varia natura; nonché possono esistere beni immobiliari, quindi case o immobili di altro genere, con eventuali e annesse rendite. La mancata accettazione sposta l’asse di trasmissione di tali beni. Nel caso di una casa, può capitare che si verifichi la proprietà in comunione tra più eredi.
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Ad ogni modo, la suddivisione di un immobile, parimenti a quella di un bene mobiliare, procede secondo queste regole: al solo coniuge, spetta il cento per cento della proprietà; se in aggiunta vi sono figli, 50 per cento al coniuge e 50 per cento al figlio unico, oppure un terzo al coniuge e due terzi a più figli (in parti uguali); due terzi al coniuge e un terzo agli ascendenti in parti uguali, in assenza figli e fratelli; senza figli né ascendenti, due terzi spettano al coniuge e un terzo ai fratelli; senza figli, due terzi al coniuge, il 25 per cento agli ascendenti in parti uguali, l’8,33 per cento per i fratelli. In assenza del coniugi, i soli figli riceveranno il cento per cento del patrimonio, anche in presenza di fratelli e ascendenti. In presenza dei soli ascendenti, la quota è ancora al cento per cento, così come per i soli fratelli.