Qualche dato sul costo del pellet, incrementi che costano sulla spesa e sui bilanci delle famiglie italiane
Il pellet, il combustibile di origine vegetale largamente diffuso in molte regioni italiane, ha ormai raggiunto prezzi altissimi sul mercato. Gli aumenti sono da imputare all’incremento delle quotazioni internazionali del prodotto con consistenti variazioni verso l’alto, ai costi di produzione sempre più elevati, alle speculazioni che non mancato e al livello delle imposte indirette che influisce molto.
La maggior parte del pellet utilizzato e consumato in Italia proviene da paesi dell’est Europa quali Romania, Repubblica Ceca, Slovenia e dall’Austria. L’Italia ne produce circa 450.000 tonnellate sui 3.35 milioni consumati ogni anno per il riscaldamento, quindi la questo spiega la sensibilità alle variazioni dei prezzi all’estero.
In concomitanza della crisi energetica con l’aumento del prezzo del gas naturale a livelli mia raggiunti prima, sosprattutto nei mesi estivi con punte di 231,736 €/MWh di agosto contro gli 8,219 €/MWh dello stesso mese nell’anno 2020, anche il prezzo delle biomasse, tra cui il pellet, è cresciuto. Per avere un’idea degli incrementi basta pensare che un sacchetto di pellet da 15 chilogrammi costava 4 euro lo scorso inverno.
Oggi il costo per un sacchetto dello stesso peso è di 15 euro. Quindi un prezzo più che triplicato che pesa sui bilanci delle famiglie che hanno scelto il pellet come combustibile da riscaldamento. L’uso del pellet ha avuto un grosso sviluppo negli anni scorsi, con la crescita dei consumi, e un indotto molto favorevole per tutto il settore. Infatti molti apparati da riscaldamento sono prodotti e costruiti in Italia con un notevole giro d’affari per decine di milioni di euro.
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La crisi potrebbe mettere in difficoltà anche questo settore se vi fosse una contrazione nei consumi. la stessa produzione di biomasse italiana potrebbe risentire della crisi a causa di una contrazione dei consumi. Una delle proposte, presentata in Parlamento per sostenere tutto il comparto, dai consumi familiari alla produzione, passando dalla distribuzione è ritoccare l’iva.
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Abbassandola dall’attuale 22 per cento al 5 per cento, con riduzione del prezzo finale al consumo i vantaggi sarebbero per tutto il settore, favorendo la produzione locale e tutelando i consumi familiari, già messi alle strette dagli incrementi dovuti all’inflazione ormai galoppante.