Il lavoro in nero, in Italia, è una realtà che fatica ad essere sradicata nonostante le numerose tutele apprestate dal legislatore: le sanzioni per gli occupati a nero
Il lavoratore rappresenta purtroppo la “parte debole” del rapporto contrattuale, proprio per questo, la Costituzione italiana contiene apposite norme necessarie a tutelarlo. L’art 1 della Costituzione, infatti, recita “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. In base a quanto stabilito dalla legge, il lavoratore ha diritti sia di natura patrimoniale che personale e sindacale.
Nel primo alveolo troviamo, ad esempio, il diritto alla retribuzione, al TRF ed eventuali indennità speciali. Nel secondo, invece, vi rientrano il diritto al riposo giornaliero e settimanale ed il diritto alle ferie. Ancora il diritto di conservare il proprio posto di lavoro in caso di malattia, infortunio, servizio militare e gravidanza. I diritti sindacali, invece, fanno riferimento al diritto ad aderire ad associazioni sindacali, di manifestare il proprio pensiero ed il diritto allo sciopero.
Con lavoro in nero si fa riferimento alla pratica di assumere lavoratori subordinati senza la necessaria e obbligatoria comunicazione all’INPS e all’INAIL. Esiste, poi, anche il cosiddetto lavoro grigio che invece prevede la regolare assunzione del lavoratore, per evitare le sanzioni da lavoro nero, ma comunicando mansioni, livello e orari più bassi per pagare meno tasse e contributi. Le multe per il datore di lavoro, nel caso di impiegati occupati a nero, sono salatissime. Esse variano in base al numero di giorni in cui il dipendente è stato impiegato irregolarmente. Inoltre, l’importo della sanzione aumenta se il lavoratore occupato è un extracomunitario senza permesso di soggiorno.
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Per quanto riguarda, invece, il dipendente che presta la propria forza lavoro a nero, generalmente, non rischia alcun tipo di pena, rappresentando, come già detto, la parte debole del rapporto contrattuale. Tuttavia, in alcuni casi, quest’ultimo può essere denunciato dalla Procura della Repubblica nel caso in cui percepisca l’indennità di disoccupazione o eventuali benefici relativi agli ammortizzatori sociali.
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Il lavoratore, infatti, potrebbe essere perseguito per “Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”. Rischierebbe, dunque, la reclusione da sei mesi a quattro anni, a meno che la somma percepita non sia inferiore ai 4 mila euro. In questo caso, sarà applicata una sanzione amministrativa che va dai 5164 euro ai 22.822 mila euro. La sanzione non può comunque superare il triplo della somma indebitamente percepita.
Infine, nell’ipotesi in cui, il lavoratore abbia soltanto attestato falsamente il suo status di disoccupato all’Inps o altro ente, senza, però, percepire alcunché risponderà soltanto di “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”. La norma, in tal caso, punisce il colpevole con la reclusione fino a due anni.