Non solo l’aumento dei tassi di interesse; anche il contesto di alcune città rendono più caro il prestito per la casa. Vediamo dove accade
Il conflitto in corso nella periferia (per modo di dire) d’Europa non si è declinato soltanto nelle note criticità energetiche e nelle collaterali conseguenze sul piano dei relativi mercati. Esso ha assunto inoltre la sfaccettatura di una crisi economica trasversale in tutto il vecchio continente, causata in primo luogo dalla proliferazione a macchia di leopardo dei rialzi inflazionistici.
Rialzi da record, foraggiati dalla speculazione della generalizzata riduzione delle risorse, lo scarso numero di alternative energetiche e dal timore di un imminente e severo piano di razionamento. Oltre a ciò un altro messaggio è giunto chiaramente dalle istituzioni europee, in particolare dalla Banca Centrale Europea: per arginare la stessa inflazione (che soltanto in Italia viaggia verso un debordante 15 per cento) ha messo mano ai tassi d’interesse e li ha aumentati.
Quello che poco prima della scorsa estate (esattamente a giugno), appariva come una convenienza, oggi il tenore è radicalmente cambiato. Alla fine del secondo trimestre, infatti, è stato registrato un vantaggiosissimo abbassamento dei tassi, specificatamente l’Eurirs, l’indice percentuale applicato nei mutui a tasso d’interesse fisso, entrando in competizione – nonostante la rata fissa, senza oscillazioni negative né positive – con i tassi variabili e il loro Euribor.
Il cambio di rotta non ha smentito le previsioni; anzi, le ha confermate, vedendo proprio in autunno il periodo in cui il balzo dell’aumento dei prezzi avrebbe reso più caro il mantenimento dei depositi e lo scambio sia di beni che di denaro. Tra gli esiti, ciò non poteva inficiare diffusamente sul desiderio di acquisto della casa e del tentativo di supportarlo con l’inevitabile finanziamento di un istituto di credito.
Leggi anche: Caro energia: pignoramento per 200mila pensioni, è allarme sociale
Nonostante sia una dinamica puntellata dalle odierne variabili, resta il fatto che molte “zone”, o meglio, città, regioni, aree determinate rendano – ciascuno a suo modo – possibile l’accesso al credito, o al contrario impraticabile il terreno per un prestito. L’Italia ne è un esempio emblematico. Persistono i valori medi di finanziamento tra Nord, Centro e Sud, eccetto qualche distinguo all’interno delle Regioni.
Leggi anche: Borsa di Studio per i figli: la domanda da fare entro il 30 settembre
Primo in classifica è il Trentino Alto-Adige, seguito da Lombardia (alla stregua dei valori di Milano) e il Lazio (supportato dai valori di Roma). Nel 2022, il primo mutuo d’Italia ha registrato un valore medio di 189.412 euro. Tra i fanalini di coda, vi sono le rate di Molise (il finanziamento medio è pari a 102.256 euro) e Calabria. È il dato del loan to value a misurare il rischio del mutuo tra valore dell’immobile e la sua riparabilità. Anche l’età dei richiedenti si distingue all’interno della valutazione: hanno tra i 20 e i 21 anni coloro che sottoscrivono finanziamenti in Basilicata e Calabria; intorno ai 25 anni, in Valle d’Aosta. Rimane il fatto che i mutui variabili italiani sono tra i più competitivi in Europa, al contrario dei fissi, che invece hanno tutto da guadagnare.