In preparazione della rovente campagna elettorale, si mettono sul tavolo le carte anti-crisi, tra cui quelle di FdI. Vediamo le proposte
Almeno per quanto riguarda il mese in corso, la consegna dei ratei mensili delle pensioni si è concluso da un pezzo, alcuni pensionati hanno ricevuto il denaro, presso l’ufficio postale, nella giornata stabilita dal calendario, mentre altri hanno preferito l’accredito diretto sul conto corrente personale, godendo della medesima puntualità, senza dover affrontare alcuna fila allo sportello.
Quello delle pensioni rappresenta un tema scottante ora ed è certo che lo sarà anche nel futuro più prossimo. Le ragioni non sono difficili da comprendere. Sul fronte di chi beneficia del trattamento pensionistico, dal mese scorso di luglio è stato erogato l’attesissimo bonus 200 euro, a sostegno delle spese innalzatesi con il rincaro delle bollette e l’incremento dell’inflazione. Ma la disponibilità delle casse non è stata sufficiente, pertanto gli esclusi sono stati “rimandati” al ritiro di questo mese e non è detto che si prosegua ancora fino a ottobre prossimo.
Queste ultime settimane costituiscono quantomai un momento delicato per il nostro Paese in quanto il governo che è a lavoro – il governo Draghi – è un governo dimissionario, le cui attività dovrebbero limitarsi all’ordinario fino all’insediamento del nuovo premier dopo il voto del 25 settembre 2022. In realtà stiamo assistendo, a ritmo incalzante, all’ufficializzazione quasi giornaliera di bonus e incentivi, tutti partoriti dal fresco varo del Decreto aiuti-bis.
Ciò che davvero manca e mancherà sarà a carico dei pensionati di domani: non c’è tempo per una discussione parlamentare articolata che produca la fondamentale riforma pensionistica che dovrebbe prendere il posto della “provvisoria” Quota 102 – 64 anni di età più 38 anni di contributi – al termine il 31 dicembre 2022. In mancanza di un’alternativa, o di una proroga (compito oramai del nuovo governo), è inevitabile che dal 1° gennaio 2023 venga ripristinata la riforma momentaneamente in sospensione: la Legge Fornero.
Insomma, le vere protagoniste di questa diatriba sono le casse INPS, le quali, da settembre, dovranno subire l’urto delle rivalutazioni (dovute ai tassi inflazionistici) sia delle pensioni che degli stipendi, nonché del futuro dell’Assegno Unico e del Reddito di Cittadinanza. I partiti stanno mettendo sul tavolo le loro proposte – come è giusto che sia – di varia natura, in taluni casi, anche molte diverse ma analogamente tendenti a mantenere alcuni strumenti attuali: tra le più radicali, andiamo a considerare l’idea di Giorgia Meloni e di FdI.
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Mentre si pensa, sul piano delle tasse, ad una flat tax del 15% e una significativa spuntatura dell’iva (con buona pace dei diktat di Bruxelles), sul piano delle pensioni, si vorrebbe innalzare a 1.000 euro le minime, per tutte e tredici le mensilità. A questo punto, dovremmo attenderci una spiegazione sui 30 miliardi di euro, quale buco di bilancio che si verrebbe a creare.
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È vero, altresì, che le attuali idee della destra cercano di ledere la maestà dello spread, il quale ha giustificato prelievi inenarrabili per colmare un debito pubblico incolmabile (Grecia docet). Infine, dobbiamo registrare che le odierne decisioni del governo uscente stanno stringendo i nodi con gli impegni europei, riducendo quindi i margini di riforma da parte del nuovo esecutivo.