La Francia ha scelto di abbattere il canone tv, ritenuto dal governo una tassa iniqua; ma sono troppi a criticare la scelta. I dettagli
L’idea aleggiava da parecchio tempo ma ora la decisione è presa: dal 2023 l’abbonamento TV della RAI tornerà nella vecchia modalità cartacea. Niente più fusione con la bolletta elettrica, una scelta sin dagli esordi aspramente criticata e tuttora non del tutto apprezzata da una buona fetta di italiani. L’unione in fattura dei costi per finanziare il servizio pubblico RAI e l’utenza della luce è frutto del provvedimento dell’allora governo Renzi, intenzionato ad abbattere l’evasione fiscale che da sempre erode le entrate del sistema radiotelevisivo.
Per mitigare l’accettazione al nuovo sistema, la cui discutibilità non è stata mai messa in dubbio, è stato ridotto l’importo annuo a 90 euro (tra i canoni più bassi in Europa), pagandolo mediante la rateizzazione. Ciò non ha però dipanato le riserve, soprattutto di coloro che possedendo regolarmente un apparecchio televisivo, è incappato nelle conseguenze rovesciate nel rapporto col gestore dell’utenza elettrica.
Canone tv, sempre più giovani passano allo streaming
In Italia, è stata la Commissione Europea ad appianare qualsiasi contrasto ponendo il veto sulla prosecuzione del discusso metodo e ha chiesto che il canone fosse scisso dai costi elettrici, in quanto considerato come una fonte – così espressi – di “oneri impropri”; sostanzialmente ha imposto allo Stato italiano di uniformarsi al modello di gestione degli altri Stati membri.
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Così si torna al cartaceo, anche nulla è stato chiarito su come si pagherà. Su questo bisogna attendere. Chi ha preso una decisione radicale è stata invece la Francia. Dal prossimo anno, niente più canone per le TV e le radio di proprietà dello Stato, come France Télévisions, Radio France, Arte o France 24. Il Presidente Emmanuel Macron realizza in questo modo la promessa fatta durante la seconda campagna elettorale.
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Ma tutta la sinistra e una parte della destra non hanno accolto favorevolmente la novità, agitando – da una parte – i rischi di attentare alla democrazia attraverso un potenziale attacco all’indipendenza dei media pubblici, e chiedendo – dall’altra – una ben più ampia e coraggiosa riforma sull’emittenza pubblica. Anche se per ora un’alternativa di finanziamento non è stata individuata, ciò che ha prevalso è la convinzione che l’attuale abbonamento pari a 138 euro sia una tassa “impopolare” in un momento in cui lo streaming e la Rete erodono la quota di mercato della televisione pubblica e l’età media del pubblico, sottraendo giovani a quest’ultima.