Pensioni, 500€ in più per avere una vita più agiata quando si smette di lavorare: quali sono i metodi per ottenerli
Da quado il sistema pensionistico è passato a quello contributivo, il tasso di sostituzione (ossia la percentuale dell’ultimo stipendio, quella che sarà elargita come rendita pensionistica), si è ridotta e non di poco. Per tale motivo iniziare a integrare la pensione è cosa buona e giusta.
Detto in altri termini, alla fine della vita lavorativa – chi più chi meno – saremo tutti più “poveri”. Quindi per cercare di mantenere all’incirca lo stesso tenore di vita che si ha quando è ancora in corso la carriera lavorativa, bisogna cominciare a preccuparsi come integrare la pensione pubblica con altre forme di previdenza alternativa.
Esistono i fondi di categoria, i fondi pensione aperti o i Pip, i Piani individuali pensionistici. Prima si inizia a badare all’integrazione e prima si hanno i benefici. Innanzitutto minori sono le imposte che si pagano sulla rendita o sul capitale che si intascherà al momento della pensione. Per fare un esempio, la tassazione del 15% si riduce dello 0,30% per ogni anno di permanenza nel fondo dal 15esimo in poi. Il minimo è del 9%.
Il tasso di sostituzione varia tra i lavoratori dipendenti e gli autonomi. E quanto conviene versare? Smileconomy ha realizzato una simulazione per conto L’Economia del Corriere della Sera, rispondendo a queste e ad altre domende. L’obiettivo della simulazione è ottenere una rendita aggiuntiva mensile alla pensione pubblica di 500 euro netti.
Per farlo i contributi mensili da versare oscillano tra i 211 euro di un 30enne con un alto profilo di rischio e i 848 euro di un 50enne con un profilo di rischio basso. Si prendono in considerazione un lavoratore di 30 anni, uno di 40 e un terzo di 50. Tutti e tre hanno cominciato a lavorare a 25 anni dopo il 1996, dunque con il sistema contributivo. Per ognuno il reddito netto su 13 mensilità è di 1.500 euro, 2.000 euro e 2.500 euro.
La stima della pensione netta (dunque del tasso di sostituzione), è stata calcolata su due scenari: quello base (bassa crescita sia del Pil allo 0,3% e bass anche l’attesa di vita, e quello alternativo, con un’alta crescita del Pil all’1% e dell’attesa di vita (Istat storico).
Per la stima dei versamenti per l’integrazione dei 500 euro, invece, sono stati ipotizzate due linee di investimento. La prima a basso rischio, 100% obbligazioni governative in area euro, e ad alto rischio, 100% azioni globali.
Nello scenario con una bassa crescita del Pil e dell’attesa di vita (quello base), i tassi di sostituzione per i lavoratori dipendenti vanno dal 65% ed il 70%. Per gli autonomi dal 51% per il profilo del 50enne a un massimo del 64% per il 30enne.
C’è poi lo scenario alternativo – dunque con alta crescita del Pil e dell’attesa di vita – dove si va in pensione più tardi e con un assegno più sostanzioso. In questo caso il tasso di sostituzione oscilla tra il 70% e il 79% per dipendenti e il 54% e il 66% per gli autonomi.
I contributi da versare affinché la pensione sia maggiorata di 500 euro, variano anche in base all’età anagrafica del lavoratore. Non solo, si considerano anche la minore o maggiore rischiosità della linea d’investimento. Ancora con gli esempi di cui sopra, per un 30enne il versamento mensile è compreso tra i 211 ed i 292 euro, per un lavoratore di dieci anni più vecchio tra 362 e 456 euro e infine per un 50enne da un minimo 729 euro al mese a 848 euro.